Milano - La Resistenza civile (1940-1945)
Dal 1 settembre 1939 la guerra lampo nazista ha piegato la Polonia, poi è toccato a Norvegia, Danimarca, Olanda e Belgio, tutti Paesi neutrali occupati violando il diritto internazionale. Ai primi del giugno 1940 anche la Francia è in ginocchio, l'Inghilterra è ormai sola e minacciata da una imminente invasione che agli occhi di tutti gli osservatori appare incontrastabile.
A Mussolini, che scalpita da tempo, i capi di Stato Maggiore delle tre armi hanno spiegato che il Paese è praticamente senza scorte di carburante e di materie prime, che di oltre 8.000 velivoli dichiarati solo 838, in buone parte obsoleti, sono in condizioni di volare e che occorrono altri due anni per prepararsi a una vera guerra ma al duce - lo dichiara lui stesso -occorrono poche migliaia di morti, italiani, per potersi sedere al tavolo delle trattative di pace e accedere alla spartizione del bottino delle vittorie naziste.
Il 10 giugno 1940, quando i panzer tedeschi sono a cinquanta chilometri da Parigi, Mussolini dà il via all'aggressione alla Francia. E' l'inizio del conflitto. Per i milanesi durerà quattro anni e quasi undici mesi, 1787 giorni dai quali la città uscirà carica di lutti e di macerie.
La città cambia e cambierà sempre più il proprio aspetto: la Milano della Rinascente e delle insegne pubblicitarie luminose si rabbuia, dall'imbrunire vige l'oscuramento con tutte le annesse limitazioni agli orari di chiusura dei locali pubblici e alla circolazione dei mezzi di trasporto pubblici e privati. Monumenti, opere d'arte e luoghi topici sono circondati da barriere di sacchetti di sabbia. Si infittiscono le disposizioni prefettizie e i consigli della stampa sulle misure di protezione antiaerea, sull'approntamento di rifugi spesso improvvisati, sul comportamento da tenere in caso di allarme aereo. Milano si costella di tabelloni, cartelli e frecce bicolori con l'indicazione dei rifugi più vicini e delle uscite di sicurezza.
Con il primo massiccio bombardamento dell'ottobre 1942 e, ancor più, dopo quelli dell'agosto 1943 il paesaggio urbano sarà disseminato di macerie e caseggiati sventrati. La città si svuota. Secondo le stime dei comandi tedeschi oltre 600.000 milanesi cercano scampo sfollando in provincia e in quelle limitrofe.
La produzione bellica abbisogna di materie prime. I tedeschi hanno le miniere della Rhur, noi questuiamo materiali ferrosi da privati e enti pubblici: le cancellate di ferro di parchi, case e giardini devono essere rimosse e consegnate all'Endirot - l'Ente distribuzione rottami -, e così pure i manufatti di rame da cucina di alberghi e ristoranti.L'inadeguatezza delle risorse agricole e zootecniche, l'accaparramento di scorte per le forze armate e l'invio in Germania di derrate in cambio di materie prime e combustibile impongono il contingentamento e il razionamento dei prodotti, a cominciare dagli alimentari. Entra in vigore la tessera annonaria, ma già nel secondo anno di guerra la situazione alimentare mostra un progressivo peggioramento fino a farsi tragica con l'occupazione tedesca e le pesanti requisizioni destinate al fabbisogno della Wehrmacht e della popolazione tedesca.
Il mercato nero, col tempo sempre più diffuso e fiorente, può offrire le indispensabili integrazioni solo a chi possiede un reddito superiore o dei congrui risparmi. Per la classe operaia e per gli strati inferiori delle categorie a reddito fisso inizia un lungo periodo di privazioni e, dopo l'8 settembre 1943, di vera fame, alleviata solo parzialmente dalle provvidenze delle mense e degli spacci aziendali, dalle 16 mense collettive aperte dal Comune e dai 105 ristoranti di guerra che offrono pasti a prezzi convenzionati, peraltro non abbordabili ai più.
Le conseguenze di uno sforzo bellico al di sopra delle possibilità del Paese ricadono in primo luogo sulla classe operaia. Si intensificano i ritmi produttivi e si prolungano gli orari di lavoro. Il regime disciplinare di fabbrica viene sottoposto al codice penale militare, invocato dagli stessi industriali per mantenere l'ordine produttivo. Alla pesantezza del lavoro si aggiunge, per i pendolari, la fatica snervante dei viaggi quotidiani, in condizioni disagiate e, con l'avvicinarsi del fronte, sempre più a rischio di mitragliamenti aerei. Molti operai si ridurranno a dormire in fabbrica o in qualche cascina nelle vicinanze.
Nel 1943 il fronte interno si sgretola sotto il peso delle bombe alleate, della fame e delle disastrose notizie dai fronti. El Alamein e Stalingrado frantumano il mito dell'invincibilità dell'Asse, la ritirata dell'armata italiana in Russia si trasforma in una rotta con perdite spaventose, dei 56000 uomini del corpo d'armata alpino ne tornano poco più di 12000, in gran parte feriti o congelati.
L'opposizione al regime e la stanchezza per le privazioni di una guerra insostenibile esplodono con gli scioperi del marzo 1943. Lo sbarco alleato in Sicilia accelera la disgregazione interna. Pace, pane e libertà sono gli obiettivi degli scioperi e delle manifestazioni popolari che si moltiplicano nei 45 giorni del governo Badoglio. Esercito e forza pubblica sparano sui dimostranti: dal 26 luglio al 1 settembre 1943 Milano registra 25 morti, 99 feriti e 61 arrestati.
All'8 settembre l'occupazione tedesca segna l'inizio del periodo più tragico. La già grave situazione alimentare tracolla sotto il peso dei piani nazisti di rapina e di sfruttamento indiscriminato di ogni risorsa ambientale, mentre all'ombra della svastica il fantasma del risorto fascismo di Salò apre la strada alla guerra civile. Incombe la minaccia della deportazione, si vive tra coprifuoco, restrizioni, proibizioni, e permessi, sempre con il terrore delle bombe e dei mitragliamenti alleati, di una delazione anonima o di essere coinvolti anche accidentalmente nelle rappresaglie con cui i nazifascisti cercano di isolare e stroncare il movimento clandestino.
L'ultimo inverno è il più tremendo, ai crampi della fame si aggiunge il freddo. Manca il combustibile per il riscaldamento. Case, uffici, locali pubblici sono al gelo mentre nelle strade capita sempre più spesso di rinvenire il cadavere di qualche partigiano assassinato nottetempo dalla Muti. Qualche corpo galleggia nelle acque del Naviglio. Al freddo, alla fame, alle deportazioni e alle fucilazioni del terrore nazifascista la Milano democratica e antifascista risponderà guadagnandosi il titolo di capitale della Resistenza, e le fabbriche di Sesto San Giovanni, che, in quella lotta, sono parte integrante di Milano, saranno ricordate - la definizione è degli stessi fascisti - come la Stalingrado d'Italia.